Nuovi dèi abitano e altri si preparano ad abitare i nostri cieli e le nostre connessioni. Che lo vogliamo o no si è avverato lo scenario annunciato nel Novecento: siamo diventati homo technologicus, nella declinazione dell’homo social (ce lo ricorda settimanalmente il nostro smartphone contando le ore trascorse con lui anziché nel mondo). Se l’auspicio è quello che questo nuovo pantheon possa ridare senso alle nostre esistenze e aiutarci a frantumare il nostro reale nemico, ovvero l’ingombrante invenzione di Platone dopo la caduta degli antichi dèi, cioè la nostra anima (il nostro io, il nostro ego, che si sono sostituiti al dio che eravamo, che era immemore coincidenza di io e mondo), dentro il “grande confessionale collettivo” che i social sono, forse in qualche modo ancora inimmaginabile riusciremo a smembrarci e a tornare a riconoscere l’entusiasmo (“en theos ousia”, la mescolanza di umano e divino) che ci anima e che da tempo non riusciamo più a vedere.
Di questo e di altre cose, senza poter smettere di credere nel dialogo pur sapendo che la parola può soltanto alludere per metafora al divino da cui siamo precipitati, parlo con Maura Gancitano e Andrea Colamedici di Tlon su L’Espresso in edicola.