Tutti guardano alla Russia, e quasi nessuno all’Algeria, il paese più misterioso del Maghreb, il più grande paese dell’Africa, che a me per il suo nascondersi e schierarsi ha sempre affascinato un sacco. Per esempio è l’unico paese del mondo arabo ad aver osteggiato la normalizzazione dei rapporti con Israele e la sua politica coloniale verso la Palestina. Per esempio è in guerra col Marocco perché riconosce una repubblica autoproclamata, la repubblica Sahrawi, che il Marocco vorrebbe annettere. E anche per il suo essere un regime ben celato agli occhi del mondo. Ma adesso, dopo le rivolte popolari del 2019 e la rimozione dell’anziano presidente, l’Algeria ha sempre più la necessità di aprirsi all’Occidente: ha bisogno di fondi per finanziare riforme fondamentali per tenere a bada la popolazione. Così ora c’è il gas, di cui l’Algeria è ricchissima, che può cambiare tutto, dopo che in molti smetteranno con comprarlo dalla Russia. Il gas. E noi e l’Algeria siamo legati da un vincolo di sangue, proprio attraverso il gas. Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni ha ricevuto la medaglia di Amico della Rivoluzione dell’Algeria: cioè anche grazie ai soldi italiani che arrivavano dal gas l’Algeria si è liberata dalla colonizzazione francese (aprendo anche qui alla famosa “doppia via italiana” di gestione delle questioni estere: da un lato con l’Algeria, dall’altro con la Francia). Lo raccontano Pontecorvo nella Battaglia di Algeri e Albert Camus nei suoi scritti, tra gli altri. Anche per vedere con i miei occhi questo legame di sangue e gas sono stato di recente in Algeria, per capire un po’ meglio il potere intimo di ciò che ci scalda e ci mantiene al sicuro senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Lo racconto un po’ su Vanity Fair in edicola.