Lorenzo Jovanotti recensisce “Il grande futuro” su Jova.tv. Qui c’è il video.
Le sue parole mi riempiono di gioia perché colgono il cuore del romanzo e perché sono un dono puro, qualcosa che poteva non essere fatta, e come tutto ciò che poteva non essere ha la qualità del miracolo. Lorenzo non è un critico letterario, il suo mestiere è un altro. E allora questa sua recensione per me vale molto di più, perché è nata sotto il segno del dono.
Queste sono invece le parole che ha scritto sul suo profilo Facebook:
È sempre la stessa storia, ma ogni tanto qualcuno cambia i personaggi e le situazioni ed è un piacere e un’avventura sentirsela raccontare di nuovo. Vediamo quante me ne vengono in mente qui al volo: Siddartha, Pinocchio, il partigiano Johhny, Holden, Anna di Ammanniti, il tipo di Grandi Speranze, il bimbo di Ibrahim e i fiori del Corano, La vita davanti a se di Roman Gary, il ragazzino di oltre il confine di Cormac McCArthy… ok mi fermo (continuate voi, che magari c’è qualcosa che non ho letto). Parliamo di lui, di Ali, il protagonista di questo nuovo romanzo di Catozzella. Si chiamano “romanzi di formazione”, quando sono belli sono belli e importanti.
Giuseppe Catozzella è uno scrittore giovane e grazie al cielo non ha paura di confrontarsi con la “solita storia”, che poi è quella che vale davvero la pena raccontare, la storia di come si diventa grandi. Ci sono quelli che ci girano intorno, , la maggioranza, come i musicisti che hanno paura del “giro di do”, perché col giro di do ci hanno scritto centomila canzoni, ma poi la vera sfida di chi scrive canzoni, e chi scrive canzoni lo sa, anche se fa finta di no, è confrontarsi proprio con il mitico “giro di do”, sempre lui ma ogni tanto diverso, e nuovo. A me interessano le novità, e le novità che mi interessano di più sono quelle che innovano qualcosa che esiste da sempre, riaccendono il desiderio e la speranza che le cose sono sempre loro ma accadono sempre per la prima volta. Satete meglio di me che non c’è niente di più vecchio della parola “nuovo” quindi quando dico novità intendo nuovo per me, non in assoluto. Divagazione: il ponte più vecchio di Parigi sapete come si chiama “le pont neuf” , il ponte nuovo, questo per intenderci. Fine della divagazione. Catozzella è un bravissimo scrittore, due anni fa con “non dirmi che hai paura” aveva beccato un gran bel libro, una storia emozionante racocntata benisismo, di quei libri che certi insegnanti in gamba consigliano come lettura estiva alle loro classi di liceo. Subito dopo quel successo, invece di perdersi in frattaglie di comunicazione che sono micidiali per chi come lui ha il talento per il racconto ampio, Catozzella ha preso tempo e con il tempo che serve ha scritto un nuovo romanzo, e non ha avuto paura. Ha scritto un romanzo di formazione di oggi, la storia di un ragazzino nell’Islam dei nostri anni, che non è più quello delle mille e una notte, o meglio non solo, ma è quello che troviamo nelle homepage dei giornali. Quello di ragazzi e ragazze in fuga o in attacco, impazziti o ammutoliti, marginali o esplosivi, macchine di morte o esseri umani, feroci o feriti, comunque esseri umani. Com’è che diceva quello: “Nulla che sia umano mi è estraneo”.
A me è piaciuto molto e lo devo ringraziare perché quando l’ho iniziato a leggere, nelle prime pagine, avevo una sensazione fastidiosa che mi arrivava da dentro di me e non dal libro, come se alla mia età ne avessi già letti abbastanza di romanzi di formazione. Leggere la storia di questo ragazzino e poi tutti quei nomi tipo Said, Ali, Ahmed, mi faceva uscire una dose di cinismo, di disillusione, perché parliamoci chiaro, non è un momento ideale per dirci incuriositi dalla cultura musulmana, perché ora prevale l’incazzatura, cattiva compagna dell’empatia e della curiosità intellettuale. Poi ho proseguito e dopo un po’ quella roba è svanita e mi sono ritrovato dove mi piace stare, dove accade la vita con le sue onde, nella “solita storia”, sempre uguale e sempre nuova. Forse quando decidiamo che quella storia non ci interessa più vuol dire che siamo gonfi di certezze, e quindi non serviamo più a niente, abbiamo finito i dubbi e le prospettive, una brutta faccenda. Immersi come siamo in tutto il flusso di notizie e di fatti e di commenti dei fatti rischiamo di diventare impermeabili alla possibilità del racconto, vogliamo solo notizie brevi, un flash dopo l’altro. Catozzella in questo libro ci racconta una storia, prende il personaggio da piccolo e lo porta fino a quando diventa adulto, e noi lo vediamo che si allontana e ci rimane quel magone bello alla fine dei romanzi belli.
Lui si chiama Alì, ma non per tutto il libro, lo vedrete, quella del nome è un cosa importante. Il viaggio di Ali per diventare se stesso passa attraverso le cose della vita necessarie, il tradimento per esempio, compiuto e subìto. Bella la storia di cosa succede a lui e al suo amico Ahmed da bambini e di come si ribalta il suo significato da grandi. Quello che ci si crede di essere e della fiducia che gli altri ci proiettano addosso per scaricarla dalle proprie spalle. Il fraintendimento, altro elemento necessario a capire che vediamo quasi sempre solo quello che ci serve e ci fa comodo vedere, non quello che è. Il desiderio di purezza che conduce alla bugia, perché nella vita la purezza non esiste, anzi pensarla è un’offesa al cielo, tentare di praticarla è un modo per non vivere. Comunque queste sono mie osservazioni, perchè il libro racconta di un ragazzino che ce la fa a diventare grande, intanto perchè sopravvive ma soprattutto perchè diventa grande, un essere umano in carne e spirito, come il finale di Pinocchio, che per me tra i romanzi di formazione resta il numero uno.