Andare in Niger significa sprofondare all’interno del cuore geografico delle pressioni migratorie dall’Africa verso l’Europa. Là dove vogliamo che restino. In Niger ho incontrato alcune ragazze e alcuni ragazzi eritrei, somali, etiopi, sudanesi del Darfur – tutti scappati a piedi dalla guerra e “salvati” dalle torture libiche -, e con loro ho trascorso alcuni giorni. Tre o quattro di loro hanno deciso di sprofondare ancora una volta dentro i mesi e gli anni di schiavitù (vengono venduti ripetutamente lungo le rotte) e torture subite nelle prigioni in Sudan e in Libia. Sono racconti quasi impossibili da riportare. Eppure da scrittore sono convinto che poco altro possa spalancare una comprensione più profonda dell’animo umano che l’inferno della tortura. Mai ero entrato così nel dettaglio dentro questo inferno scientifico. Sono storie che tolgono il fiato, e insieme la dignità a tutti noi. Non può essere, mi sono ripetuto mille volte in questi giorni, e invece è. È la normalità. E accade a pochi chilometri dalle nostre case. Tutto ciò è conosciuto e ammesso dai governi occidentali, poiché serve precisamente a mantenere quei ragazzi lontani dalle nostre terre. Noi non ne sappiamo niente. Racconterò tutto su L’Espresso.